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L’antimafia sociale ha avuto sempre due grandi antagonisti:

• le organizzazioni criminali che cercano il consenso della gente operando sui loro bisogni.
• le ingiustizie dell’apparato statuale che non offre alternative credibili e garanzie sui diritti fondamentali.

Non si tratta solo di “garantire lavoro a tutti”, come spesso frettolosamente si liquida la questione della presenza delle mafie al sud Italia. Si tratta di garantire la difesa dei diritti.

Analizzando lo scottante tema della mancanza di fiducia nello Stato, Paolo Borsellino avvisava che:

“il sottosviluppo economico non è, o non è da solo, responsabile della tracotanza mafiosa, che ha radici ben più complesse, tanto da far definire in studi recenti la mafia non il prezzo della miseria ma il costo della sfiducia”.

Lo Stato perde a causa del suo sistema inefficiente di amministrazione della giustizia, a causa della sua incapacità di valorizzare le risorse sociali ed economiche del territorio.

Lo Stato perde per la sua arroganza cieca nel voler distruggere ogni legittima istanza sulla tutela dei diritti fondamentali dei cittadini come la tutela della salute, il diritto allo studio, lo sviluppo dei sistemi di trasporto, la promozione delle politiche a favore delle famiglie e dei lavoratori.

Una vera antimafia è un’antimafia sociale, quella che non teme di denunciare le ingiustizie e le ampie trame di corruzione che legano, le mafie alle istituzioni pubbliche.

Paolo Borsellino ammoniva che:

“lo strumento repressivo in genere, e giudiziario in particolare, non può e non avrebbe mai potuto da solo risolvere il problema della criminalità mafiosa e neanche contenerlo in limiti accettabili”.

Combattere l’antimafia sociale perché scomoda ai facili compromessi della politica, significa incamminarsi verso la distruzione dello stato di diritto.

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