I maestri dell’innovazione riconoscono che il segreto del successo consiste anche nel realizzare un numero elevato di insuccessi. Il fallimento in qualche modo rappresenta un punto di ripartenza, un sistema di ricarica del tempo e della speranza.
Un caso clamoroso fu la vittoria alle Olimpiadi di Londra del 1908, dell’atleta italiano Dorando Pietri. Arrivò allo stadio con dieci minuti di distacco dallo statunitense Johnny Hayes ma a circa 200 metri dal traguardo sbagliò strada. Tornò indietro ma cadde svenuto. Si rialzò con l’aiuto dei giudici, cadde altre quattro volte e infine con aiuto di un giudice e di un medico, tagliò il traguardo.
Fu giustamente squalificato, dopo il reclamo degli americani per l’aiuto che aveva ricevuto ma divenne comunque famoso per “non avere vinto”. Quella vicenda trasformò Dorando Pietri in una celebrità.
Si capisce allora perché molti economisti e scienziati incitano i loro ricercatori a trattare il fallimento come una delle armi più potenti del successo. Sarà così anche per la politica? Per le categorie patinate di “giovani”, di “donne”, che sono sempre contro qualcosa o qualcuno senza indicare altra soluzione che il vuoto assoluto?
Questi nuovi soggetti hanno innovato la politica allo stesso modo in cui i fotomodelli hanno innovato il cinema italiano sostituendosi agli attori di teatro. Oltre l’immagine nulla: nessuna profondità, nessuna storia e soprattutto nessuna esperienza.
È la spinta all’assurdo del principio per cui l’esperienza può diventare un limite al successo. Meglio la totale inesperienza, meglio ancora se si scava nel vuoto come suggeriscono i maestri Zen. Sarà che serve questo fallimento in politica?
Sarà che serve realmente nel mondo della finanza che conta, come per la Banca più antica del mondo andata in pezzi grazie a interessi e coperture che coinvolgono i principali organi di vigilanza bancaria e del governo? Sarà anche per loro che sbagliare significhi soltanto avere un successo diverso? La politica “talent-show” e la finanza “siamo-tutti amici”, mietono migliaia di vittime.
Portano l’uomo fuori dalla storia, lontano dalle possibilità di costruire un futuro e di avere una voce.