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tutto-mafia

Non possiamo accettare l’idea che tutto sia mafia.
Si tratta di un luogo comune messo in giro da chi ha l’interesse a che la mafia non sia realmente combattuta.

Fra questi ci sono non solo i mafiosi ma anche pezzi importanti delle istituzioni e della società civile. Giovanni Falcone ricordava che “i luoghi comuni e gli schemi precostituiti rappresentano per gli operatori il più inadeguato e pericoloso punto di partenza per un serio ed efficace intervento (…)

C’è, anche tra gli investigatori, chi, fuorviato da una visione totalizzante della mafia, avanza certe ipotesi circa l’esistenza di centrali uniche, anche di natura mafiosa, che dirigerebbero contemporaneamente il traffico di stupefacenti, il traffico di armi, il terrorismo nei vari Paesi… tutte ipotesi che conducono, direttamente, all’esistenza del Grande Vecchio e della Piovra mafiosa invincibile e indistinta”.

Per Falcone la realtà era molto più articolata e sfaccettata di quella che appariva dalle opinioni comuni (anche quelle dei suoi stessi colleghi). E chi ha studiato i fenomeni criminali, sa benissimo che questa complessità si è esplicitata in nuovi modelli organizzativi della mafie; in meno violenza e più corruzione.

Per le mafie si è trattato di un gioco facile; fare implodere il sistema di diritto usando le sue contraddizioni e le sue conflittualità interne. E così l’antimafia sociale viene silenziata perché scomoda e le Procure rischiano di diventare le sedi istituzionali più fortemente condizionate dagli equilibri politici della varie correnti della magistratura.

Ciò che si deve perseguire per un PM non si deve perseguire per un altro PM. Se la connotazione mafiosa diviene una figurina da incollare a piacimento a questa o a quella realtà, rischiamo realmente il collasso dell’intero Stato di diritto.